A cavallo del capodanno cinese 2020, si è verificato un picco di mortalità per patologie respiratorie nella città cinese di Wuhan, dove vivono 11 milioni di persone. L’evento è stato gestito con relativa efficacia in Cina e in oriente, ma sta avendo una ricaduta straordinaria sul mondo occidentale.Un aspetto che non si può non cogliere riguarda il fatto che l’evento in questione, è stato accompagnato da una notevole “infodemia”, della quale riconosco essere stato afflitto anch’io.
Tra la fine di gennaio e i primi di marzo ho dedicato un numero imprecisato di ore nella lettura di articoli scientifici, segnalati da virologi d’ogni parte del mondo, apparentemente affidabili, ed ho cercato di capire quali nuovi pericoli minacciavano la salute dell’umanità, contribuendo in tal modo ad allertare molti colleghi sul rischio di una pandemia, che è poi stata effettivamente dichiarata dall’OMS.
Tuttavia, continuando a studiare i dati emergenti ho maturato via via un convincimento, divergente da quello del mainstream, che consiste nel considerare innocente il SARS-CoV-2 dei danni che gli sono affibbiati, fino a prova contraria. E mi sono messo pertanto alla ricerca di una prova che mi faccia ricredere, ma fino ad ora ho fallito.
Ho il sospetto invece che il mondo iperconnesso nel quale viviamo, e che permette una diffusione al grande pubblico in tempo reale e senza quasi barriere, di quanto viene elaborato in ambito scientifico, sia l’ideale per la manifestazione di notizie alterate, veicolate da giornali, televisioni, social network, virologi in cerca di notorietà. La probabilità che ciò avvenga è a parer mia niente affatto trascurabile e tale da non suscitare stupore se ne dovesse risultare un allarme generalizzato, tale da alimentare e diffondere paura, se non paranoia.
La diffusione di un allarme del genere, se relativo ad una nuova malattia, non sarebbe in grado di produrre un impatto significativo sul tipo di misure adottate dai singoli governi? Tale impatto non sarebbe variabile in relazione allo stato di tranquillità, solidità e sicurezza preesistente nei diversi Stati? Nei paesi nei quali minore é il prestigio e l’indipendenza delle istituzioni scientifiche, non si realizzerebbero forse i danni maggiori?
Ma questa è solo una parte del problema. Non ci sarebbe forse anche spazio, nelle condizioni emergenziali, per attori privi di scrupoli per affermare i propri interessi? Ma essendo io più interessato all’ambito sanitario, mi sento di porre alcune domande specifiche su di esso:
Alla luce del comportamento tenuto dall’OMS:
1) Le pratiche correntemente impiegate per dare nome ad una nuova malattia infettiva, sono da considerarsi sufficientemente valide ?
2) La gestione di una emergenza sanitaria da parte della protezione civile, che preveda il conteggio quotidiano publico “in real time” dei soggetti deceduti è cosa seria o non invece un amplificatore di panico collettivo?
3) A quale pregiudizio percettivo nei confronti di COVID-19 abbiamo assistito in questi mesi nel mondo politico, nei media e nel pubblico? E quali cause lo hanno alimentato?
4) E’ stato presente, in questi mesi, nei confronti di COVID-19, un pregiudizio cognitivo in ambito scientifico?
Ecco, se ci si volesse cimentare nel cercare risposte a questo tipo di domande, con maggiore impegno della forsennata opera di scrittura di sempre nuove ordinanze e di esecuzione crescente di tamponi, avremmo forse qualche strumento in più per uscire dall’emergenza economica, politica ed antropologica nella quale oggi 23 aprile 2020, il nostro amato Paese, si trova precipitato.
Buona Festa di Liberazione.
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