Scienza

Una realtà multidimensionale può essere conosciuta e rappresentata in modo univoco?

La scienza è abituata a procedere razionalmente, indagando ridotte particolarità della realtà, con sistematica metodicità, ciononostate entusiasmandosi talvolta in maniera infantile dei propri successi.

Un atteggiamento di costante apertura ad una molteplicità di possibili interpretazioni aiuterebbe di certo a limitare la cristallizzazione delle conoscenze, e ne favorirebbe lo sviluppo.

Essere uomini di scienza, significa a parer mio oggi, sottoporre a verifica non solo la metodologia ed i risultati emergenti, ma anche il punto di vista dell’osservatore, che mai può considerarsi neutrale.

Il procedere verso un consenso necessita dunque anche di far emergere il pregiudizio cognitivo (e percettivo) dell’osservatore, così da tenerne conto, valutarlo al fine di rendere possibile una narrazione condivisa. Comunque, ho fiducia che, sulla distanza, la scienza sia sempre in grado di correggere i propri errori, almeno finchè essa resterà un’espressione dell’umana ricerca.

Quattro domande in cerca di risposte

A cavallo del capodanno cinese 2020, si è verificato un picco di mortalità per patologie respiratorie nella città cinese di Wuhan, dove vivono 11 milioni di persone. L’evento è stato gestito con relativa efficacia in Cina e in oriente, ma sta avendo una ricaduta straordinaria sul mondo occidentale.Un aspetto che non si può non cogliere riguarda il fatto che l’evento in questione, è stato accompagnato da una notevole “infodemia”, della quale riconosco essere stato afflitto anch’io.
Tra la fine di gennaio e i primi di marzo ho dedicato un numero imprecisato di ore nella lettura di articoli scientifici, segnalati da virologi d’ogni parte del mondo, apparentemente affidabili, ed ho cercato di capire quali nuovi pericoli minacciavano la salute dell’umanità, contribuendo in tal modo ad allertare molti colleghi sul rischio di una pandemia, che è poi stata effettivamente dichiarata dall’OMS.
Tuttavia, continuando a studiare i dati emergenti ho maturato via via un convincimento, divergente da quello del mainstream, che consiste nel considerare innocente il SARS-CoV-2 dei danni che gli sono affibbiati, fino a prova contraria. E mi sono messo pertanto alla ricerca di una prova che mi faccia ricredere, ma fino ad ora ho fallito.
Ho il sospetto invece che il mondo iperconnesso nel quale viviamo, e che permette una diffusione al grande pubblico in tempo reale e senza quasi barriere, di quanto viene elaborato in ambito scientifico, sia l’ideale per la manifestazione di notizie alterate, veicolate da giornali, televisioni, social network, virologi in cerca di notorietà. La probabilità che ciò avvenga è a parer mia niente affatto trascurabile e tale da non suscitare stupore se ne dovesse risultare un allarme generalizzato, tale da alimentare e diffondere paura, se non paranoia.

La diffusione di un allarme del genere, se relativo ad una nuova malattia, non sarebbe in grado di produrre un impatto significativo sul tipo di misure adottate dai singoli governi? Tale impatto non sarebbe variabile in relazione allo stato di tranquillità, solidità e sicurezza preesistente nei diversi Stati? Nei paesi nei quali minore é il prestigio e l’indipendenza delle istituzioni scientifiche, non si realizzerebbero forse i danni maggiori?

Ma questa è solo una parte del problema. Non ci sarebbe forse anche spazio, nelle condizioni emergenziali, per attori privi di scrupoli per affermare i propri interessi? Ma essendo io più interessato all’ambito sanitario, mi sento di porre alcune domande specifiche su di esso:

Alla luce del comportamento tenuto dall’OMS:

1) Le pratiche correntemente impiegate per dare nome ad una nuova malattia infettiva, sono da considerarsi sufficientemente valide ?

2) La gestione di una emergenza sanitaria da parte della protezione civile, che preveda il conteggio quotidiano publico “in real time” dei soggetti deceduti è cosa seria o non invece un amplificatore di panico collettivo?

3) A quale pregiudizio percettivo nei confronti di COVID-19 abbiamo assistito in questi mesi nel mondo politico, nei media e nel pubblico? E quali cause lo hanno alimentato?

4) E’ stato presente, in questi mesi, nei confronti di COVID-19, un pregiudizio cognitivo in ambito scientifico?

Ecco, se ci si volesse cimentare nel cercare risposte a questo tipo di domande, con maggiore impegno della forsennata opera di scrittura di sempre nuove ordinanze e di esecuzione crescente di tamponi, avremmo forse qualche strumento in più per uscire dall’emergenza economica, politica ed antropologica nella quale oggi 23 aprile 2020, il nostro amato Paese, si trova precipitato.

Buona Festa di Liberazione.

Ricerca

La ricerca artistica, scientifica e poetica, per dare frutti, necessita di una mente aperta, capace di esplorare e cogliere la realtà, nella sua più nascosta complessità, al fine di darne una rappresentazione, autenticamente (validamente) originale, in grado di resistere nel tempo alle prove di falsificabilità.

Dalla qual cosa si ricava che la qualità dei frutti, in tutti e tre i campi, discende comunque dalla qualità dell’autore e dei criteri utilizzati.

La coscienza e gli Argonauti della noosfera

“La coscienza collega il nostro io con le esperienze degli eventi e ci consente di comprendere la nostra esistenza come entità pensante, rendendoci responsabili delle nostre azioni” – scrive Rita Levi-Montalcini (2004), intendendo per coscienza uno “stato di consapevolezza della nostra esistenza come entità individuale”.

Se questa è la funzione che RL-M attribuisce alla coscienza, resta da conoscere dove tale funzione si svolge. RL-M insiste sul fare riferimento al lobo limbico e alle strutture sottocorticali e diencefaliche del cervello (il circuito di Papez) quali “strutture deputate all’elaborazione ed estrinsecazione dell’emozione, e cioè di uno stato affettivo che esplica un ruolo di fondamentale importanza per la sopravvivenza dell’individuo e della specie”.  Il sistema limbico, per questa funzione, é visto dunque come una sorta di apparato rice-trasmittente, per la coscienza,  del flusso continuo di dati emergenti  dagli stati emozionali.

Ecco, io ritengo che la funzione della coscienza individuale sia sempre orientata alla sopravvivenza della specie. Ed in questa funzione le emozioni esercitano un ruolo guida. Orbene, le emozioni si manifestano in modo universale nelle diverse specie, uniformemente ripetitive nella singola specie e talvolta nella comunità di appartenenza, ma hanno un risvolto di unicità nell’individuo, a motivo del come (dell’abitudine alla quale) la coscienza ha avuto modo di conformarsi nel suo costante interagire nel tempo.

Perché ciò accade? Perché la funzione della coscienza è di operare, in continuità, per l’unificazione dell’esserci (spazio-temporalmente), del conoscere e dell’ agire, secondo criteri umanamente riconoscibili di bellezza, verità e giustizia, in armonia con la libertà di scelta e l’autenticità di espressione. Cose queste ultime che risultano connesse, per l’appunto, con l’unicità dell’individuo, che di per sé può essere coraggioso o pavido, ma resta sempre un essere umano, degno di vivere libero, perché tale è stato creato.

Riguardo al ruolo delle emozioni RL-M ci ricorda che esse “sono armoniosamente coordinate sia quando si esplicano nell’attacco all’oggetto che ha provocato la reazione emotiva, sia quando si traducono nella fuga” (il famoso fight or fight di W.B. Cannon).

La forma di combattimento tuttavia, a parer mio, può essere anche nonviolenta, o persino ridursi ad una forma di semplice espressione vitale. In tal caso il semplice restare, insistere, perseverare in una posizione dettata da una buona coscienza, costituisce una necessità spirituale, un atto che indica un restare umani, piuttosto che una forma di resistenza attiva o passiva ad un’autorità, di questi tempi perseguibile da una legge disumana, non in grado di riconoscere il diritto alla cura delle necessità spirituali, al soddisfacimento delle quali, insisto, la coscienza si orienta nell’indicare la rotta più giusta per la sopravvivenza della specie, in accordo con il restante della Creazione.

Non è sempre stato questo il fine di ogni spedizione verso l’ignoto degli Argonauti d’ogni tempo?

Non è questo il “vello d’oro” capace di scrutare l’orizzonte e riportarci a casa?

Non è questo il compito attuale degli Argonauti della noosfera?

La bussola dell’esistenza non è forse la coscienza?