La coscienza e gli Argonauti della noosfera

“La coscienza collega il nostro io con le esperienze degli eventi e ci consente di comprendere la nostra esistenza come entità pensante, rendendoci responsabili delle nostre azioni” – scrive Rita Levi-Montalcini (2004), intendendo per coscienza uno “stato di consapevolezza della nostra esistenza come entità individuale”.

Se questa è la funzione che RL-M attribuisce alla coscienza, resta da conoscere dove tale funzione si svolge. RL-M insiste sul fare riferimento al lobo limbico e alle strutture sottocorticali e diencefaliche del cervello (il circuito di Papez) quali “strutture deputate all’elaborazione ed estrinsecazione dell’emozione, e cioè di uno stato affettivo che esplica un ruolo di fondamentale importanza per la sopravvivenza dell’individuo e della specie”.  Il sistema limbico, per questa funzione, é visto dunque come una sorta di apparato rice-trasmittente, per la coscienza,  del flusso continuo di dati emergenti  dagli stati emozionali.

Ecco, io ritengo che la funzione della coscienza individuale sia sempre orientata alla sopravvivenza della specie. Ed in questa funzione le emozioni esercitano un ruolo guida. Orbene, le emozioni si manifestano in modo universale nelle diverse specie, uniformemente ripetitive nella singola specie e talvolta nella comunità di appartenenza, ma hanno un risvolto di unicità nell’individuo, a motivo del come (dell’abitudine alla quale) la coscienza ha avuto modo di conformarsi nel suo costante interagire nel tempo.

Perché ciò accade? Perché la funzione della coscienza è di operare, in continuità, per l’unificazione dell’esserci (spazio-temporalmente), del conoscere e dell’ agire, secondo criteri umanamente riconoscibili di bellezza, verità e giustizia, in armonia con la libertà di scelta e l’autenticità di espressione. Cose queste ultime che risultano connesse, per l’appunto, con l’unicità dell’individuo, che di per sé può essere coraggioso o pavido, ma resta sempre un essere umano, degno di vivere libero, perché tale è stato creato.

Riguardo al ruolo delle emozioni RL-M ci ricorda che esse “sono armoniosamente coordinate sia quando si esplicano nell’attacco all’oggetto che ha provocato la reazione emotiva, sia quando si traducono nella fuga” (il famoso fight or fight di W.B. Cannon).

La forma di combattimento tuttavia, a parer mio, può essere anche nonviolenta, o persino ridursi ad una forma di semplice espressione vitale. In tal caso il semplice restare, insistere, perseverare in una posizione dettata da una buona coscienza, costituisce una necessità spirituale, un atto che indica un restare umani, piuttosto che una forma di resistenza attiva o passiva ad un’autorità, di questi tempi perseguibile da una legge disumana, non in grado di riconoscere il diritto alla cura delle necessità spirituali, al soddisfacimento delle quali, insisto, la coscienza si orienta nell’indicare la rotta più giusta per la sopravvivenza della specie, in accordo con il restante della Creazione.

Non è sempre stato questo il fine di ogni spedizione verso l’ignoto degli Argonauti d’ogni tempo?

Non è questo il “vello d’oro” capace di scrutare l’orizzonte e riportarci a casa?

Non è questo il compito attuale degli Argonauti della noosfera?

La bussola dell’esistenza non è forse la coscienza?