Batte il mio cuore
dieci grani di tempo
del nuovo giorno
ed altri dieci
più luminosi ori
l’accompagnano
nel nuovo cielo
il canto s’indovina,
fresco di forma,
mentre s’aggiunge,
all’antica litania,
la prima sesta,
che sopravvive
a un rintocco di sole
in su la vela.
Quattro respiri,
cento passi nel chiostro,
endeka, quinque,
tra le mura
un minuto s’invola.
Cosa rimane?
Ti sei accorto?
Un pizzico di gioia
non t’abbandona.
Lo custodisce
la tua buona ragione
che non si perde,
che non si spegne,
e al rumore del mondo
mai s’arrende.
Un muto sogno
s’apre un varco tra i soffi.
E un soffio lieve
or mi respira,
animata creatura,
impermanente.
Fatto di cosa?
Nulla è come sembra,
sotto il sole .
Mobili canti
di balestrucci vanno
dentro la sera,
cerchiano l’aere
di più antichi ricordi
che detta il cielo.
Cosa dicono
le vergini del Coro
di Yerushalem?
Cos’è che resta?
Qual impronta rimane?
Sono ancor salvo?
Risponderanno
a queste mie domande?
Mai disperare.
E riprovare .
Pur avessi vissuto
mille e più vite
un’altra volta
getta l’ancora in mare,
in quiete acque.
E saldo resta
nella notte più oscura
al Suo riparo.
Della mia Vita,
degli affannati giorni,
che m’appartiene?
In certe ore
come fumo diffonde
fino all’estremo
halitus vitae
profumo di buon nome
e buona terra,
di passi d’uomo
nel risplendente giorno
incamminato.
E quanto brilla
quel tempo che mi resta
del tuo passaggio
anima viva
che come vela vieni
a fil di vento
tra luce ed ombra
discendendo un solco
uno dei sette
multiversi
raccolti alla sorgente
d’acque lucenti
in cima al monte
che i verdi campi irrora
e ancor disseta.
Anima viva
che l’animo in tumulto
rinnovi a tempo
d’ asciutte danze
e attoniti silenzi
(immacolati)
che ne è di te?
Resterà saldo il cuore
a difenderti?
Piove la notte
dentro la mano aperta
sui Salmi piove
e sul cipresso,
nakhon libbi Elohim,
ben radicato.