La definizione che più corrisponde all’atto di meditare trovo sia il “semplice ascolto di ciò che c’è”. Un ascolto non giudicante, aperto, accogliente, rivolto alla realtà esteriore ed interiore. Gli organi sensoriali da un lato e la coscienza dall’altro raccolgono elementi di conoscenza nitidamente, separando un suono da un altro, codificando mappe spaziali, elencando scansioni corporee, emozioni, pensieri, sentimenti, nel loro continuo divenire. Il risveglio della coscienza sul “limes” interiore/esteriore rende possibile l’intenzionale (raccolta) espressione di senso, l’assunzione di un ritmo attinente ad un campo vitale interdipendente (unificato?). Che relazione intercorre tra l’oscillare luminoso delle foglie primaverili di melograno e l’emozione che coglie il mio vedere? Ciò che si produce in me, il sentimento che porta il mio volto all’incontro con la bellezza del melograno ha in sè una risonanza trascendente? Quale eco produce l’incontro degli esseri viventi? Il semplice ascolto meditativo dà forma al grano di tempo che ci attraversa. Intorno fiorisce la bellezza, di continuo muore la bellezza. Nel campo del divenire nulla resta immutato.
Apparteniamo al dominio dell’impermanenza in ogni fibra di carne. Non c’è pensiero che resiste all’oblio, voce che non si scioglie nello spazio. Mentre inspiro ed espiro, chi sono?