Dispersione dell’identità, perdita dell’esame di realtà, incapacità a tollerare l’angoscia e mancanza di controllo delle proprie azioni e del proprio linguaggio: tale (dis)organizzazione psichica (psicosi) trova ragione nel bisogno di combattere con tutti i mezzi la paura del “vuoto” e della “morte”. Il soggetto creativo, di fronte all’esperienza dello spazio vuoto che trova in sè, come nell’universo, agisce invece liberando la mente da inutili giudizi (ed echi distorcenti) e concentrandosi su un punto di orientamento ben chiaro e distante da Sé, al fine di tracciare la rotta e continuare l’esplorazione di sè e del mondo, godendo della bellezza del creato. Afferma J. Welwood (1991) “il temuto spazio vuoto è un vuoto fertile, germogliatore. Esplorarlo è una svolta decisiva verso il cambiamento terapeutico”. Ora, l’esplorazione dello “spazio vuoto” è tema affascinante, complesso e da maneggiare con cautela, come ben sanno gli orientali. Il rischio più grande è quello di precipitarci dentro, l’opportunità più favorevole è invece quella d’incamminarsi per la “via rupta” , per il “sentiero aperto”, da dove diviene possibile indovinare orizzonti, osservare i girasoli, ascoltare i canti e le grida e la gioiosa campana.
Il temuto spazio vuoto
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Pubblicato da pasquale valente
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